GRAN SASSO, 50 ANNI DOPO 12 settembre
1993. In merito al convegno sulla liberazione del Duce*
Donatello Mancini
Non intendiamo qui discutere della vicenda storica,
perché di questa ne fa ampia ed esauriente rievocazione Luigi Romersa
in questa rivista, ma piuttosto delle evidenti finalità che gli
organizzatori del convegno, il moderatore e i relatori si sono preoccupati
di perseguire.
Tutti gli avvenimenti che si sono succeduti nei
48 giorni che vanno dall'arresto di Mussolini a Villa Savoia alla sua liberazione
da Campo Imperatore, sono da tanti anni sufficientemente noti e ben documentati.
Basti ricordare i "Due anni di Storia, 1943-45"
di Attilio Tamaro, del 1948; i "7 anni di guerra" di Pietro Caporilli,
del 1963; e il "Contromemoriale" di Bruno Spampanato, del 1974.
Da allora, a seguito delle interviste raccolte dai
due principali protagonisti, il magg. Skorzeny e il magg. Mors, è
stato possibile delineare meglio i contorni dell'intera operazione, senza
che in nessun modo si potesse contraddire lo spirito e la veridicità
del primo annuncio diramato il 12 settembre da Berlino:
"Il Deutsches Nachrichten Bureau ha diramato
il seguente comunicato straordinario: "dal Quartier Generale del Fuehrer,
12. Reparti di paracadutisti e di truppe di sicurezza germanici, unitamente
a elementi delle SS, hanno oggi condotto a termine una operazione per liberare
il Duce che era tenuto prigioniero dalla cricca dei traditori. L'impresa
è riuscita. Il Duce si trova in libertà.
In tal modo è stata sventata la sua progettata
consegna agli anglo-americani da parte del governo Badoglio". Così
l'Agenzia Stefani".
Solo in seguito la stampa tedesca puntava l'attenzione
sul cap. Skorzeny quale "liberatore" del Duce e, per questo,
decorato da Hitler e promosso di grado.
L'impresa aveva provocato nel mondo una grande risonanza
anche per le ripercussioni che l'avvenimento avrebbe potuto imprimere sull'andamento
della guerra. Si sviluppò, così, il mito di Skorzeny, anche
per le successive eccezionali imprese di cui fu protagonista.
Tornando al convegno sul Gran Sasso del settembre
u.s. apparve subito chiaro ai presenti che si voleva sostenere la tesi
che Skorzeny, già rimpatriato dalla Russia per dissenteria e assegnato
ai servizi sedentari, quasi per caso presente sul Gran Sasso, magari come
osservatore, non era stato il liberatore di Mussolini. Anzi, uno dei relatori
perfezionava il concetto definendolo "un furbacchione" che aveva
approfittato della situazione per prendersi tutto il merito e che Hitler
e Goebbels avevano tutto l'interesse ad accendere i riflettori su un ufficiale
delle SS. Questo può anche essere vero, ma il primo comunicato diffuso
lo stesso giorno, ripartisce fra tutti il merito dell'impresa, che resta
un vanto dell'organizzazione e dell'efficienza germanica.
Nel corso degli anni, a guerra finita, per la demonizzazione
sviluppatasi intorno al partito nazista e alle SS e per la comprensibile
esigenza da parte del Corpo dei paracadutisti di reclamare il giusto merito
s'è sfumato il ruolo di Skorzeny.
Anche il magg. Mors, poi divenuto colonnello, invitato
al convegno ha forse calcato la mano su questa interpretazione.
Ma l'elemento essenziale della vicenda, è
la fiducia giustamente nutrita da Hitler in Skorzeny e la categorica consegna
affidatagli di ricondurgli salvo Mussolini, dopo aver individuato il luogo
della prigionia. Altrimenti non vi sarebbe stata la sua partecipazione
alla fase finale nè la parte del terzo incomodo sulla "Cicogna".
Anche i relatori al convegno si sono preoccupati
di privilegiare il ruolo dei paracadutisti.
Al solo scopo di rispettare la verità dei
fatti, abbiamo raccolto la testimonianza del sig. Domenico Antonelli, reduce
dal fronte greco dove era stato decorato e poi congedato per ferita in
combattimento. Aveva ripreso il suo incarico di istruttore di sci a Campo
Imperatore e, in quei giorni, in assenza del titolare, aveva assunto le
funzioni di direttore dell'albergo. Come tale fu spettatore attento di
quanto si svolse dal momento dell'arrivo degli alianti sino a quando, seguendo
dappresso il personaggio che appariva il comandante dell'operazione, giunse
con lui nella stanza dove Mussolini era in attesa.
Ricordando con estrema lucidità ogni particolare,
il sig. Antonelli precisa che il convincimento sul ruolo avuto da Skorzeny
nelle rapide fasi dell'azione, derivava dal fatto che era lui che dava
gli ordini che tutti si affrettavano ad eseguire, che per primo entrò
nell'albergo e poi nella camera di Mussolini. Anche l'Antonelli entrò
nella camera e assistette al colloquio, svoltosi in tedesco, in un'atmosfera
di grande commozione.
La sua statura, l'essere il più elevato in
grado tra gli attaccanti, la fama che l'accompagnava, l'appartenenza ai
servizi speciali, l'incarico direttamente affidatogli da Hitler, avevano
naturalmente determinato sul campo una precisa gerarchia, tanto che il
ten. Faiola, che comandava i carabinieri di guardia, a lui offrì
del vino, quale omaggio offerto al "vincitore".
La testimonianza del sig. Antonelli, coincide con
quanto narrato nell'articolo di Romersa, e riporta nei giusti termini una
operazione, da tutti brillantemente condotta e conclusasi senza vittime.
* Il convegno, promosso dal Dr. Alessandro Pini,
è stato patrocinato dalla Azienda di soggiorno dell'Aquila. Relatori:
Sergio Zavoli, Arrigo Petacco, Antonio Spinosa, Marco Patricelli.
STORIA VERITA’ N.16. Luglio-Agosto 1995.
Editrice Settimo Sigillo (Indirizzo e telefono: vedi PERIODICI)
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